Un improvviso ri-conoscersi

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Un improvviso ri-conoscersi
Appunti sull’esperienza improvvisativa dell’Ensemble Dissonanzen di Napoli.


Napoli. Novembre 2004. Siamo tutti seduti in circolo nella penombra della Chiesa di Santa Caterina da Siena. Abbiamo lavorato con Markus Stockhausen e Tara Bouman per un paio di giorni preparando un concerto che abbiamo voluto intitolare Musica Porosa, ispirandoci a un saggio di Ernst Bloch, intitolato appunto Porosità, e dedicato alla città di Napoli, meta, negli anni ’20 del XX secolo, del pellegrinaggio curioso, ammirato e a volte anche critico da parte di molti filosofi tedeschi (oltre a Bloch anche Adorno, Benjamin, Sohn-Rethel e molti altri). In più il concerto è arricchito dalla proiezione delle bellissime foto di Antonio Biasiucci che hanno come soggetto la natura vulcanica – e, per l’appunto, “porosa” - del territorio napoletano e flegreo. L’idea di porosità ci sembrava descrivesse al meglio la natura della cultura napoletana, dove convergono innumerevoli influssi, coesistono molteplici tradizioni e civiltà, e, nello stesso tempo, ci sembrava che questo concetto fosse attuale nel descrivere la Napoli di oggi, anche dal punto di vista simbolico: la porosità di Napoli è allo stesso tempo un punto di forza della città ma anche un suo limite, perché ciò che è poroso è anche friabile, perpetuamente decadente.
L’incontro con Markus e Tara ci apriva al confronto con un’idea della musica diversa dalla nostra eppure straordinariamente coinvolgente e affascinante. Ascetica e a tratti mistica la visione musicale di Markus Stockhausen ci ha coinvolti per la sua intensità e forza comunicativa. Markus non parla d’improvvisazione, ma di musica intuitiva, in questo ispirandosi a un’idea del padre Karlheinz. Si tratta di un’azione musicale estemporanea che prende spunto non già da temi musicali ma da elementi concettuali estratti da testi o da altri supporti comunicativi, o semplicemente dallo spirito del momento. La registrazione live del concerto fu pubblicata un paio di anni dopo. Ora è stata ripubblicata dall’etichetta Die Schachtel in un cofanetto di 5 cd uscito in occasione dei 20 anni di Dissonanzen, in cui sono presenti altre testimonianze di musica improvvisata prodotta tra il 2003 e il 2009. Musica Porosa rimane una delle più belle avventure musicali di Dissonanzen, che replicammo nel 2006 nella stagione della GOG di Genova nella grande Chiesa di S. Agostino, con un successo di pubblico straordinario.
L’immagine dell’Ensemble Dissonanzen in cerchio riesce a dare l’idea dell’energia che si sprigiona nel momento dell’improvvisare collettivo. Per noi l’improvvisazione non è e non vuole essere un gesto estemporaneo, una prassi puramente sperimentale, o addirittura qualcosa di iconoclasta o provocatorio. Rappresenta il tentativo di creare un suono comune, uno sciogliersi delle individualità in un tessuto unico, in cui le singole voci si danno forza a vicenda e concorrono alla formazione di una voce più forte e articolata: un improvviso ri-conoscersi in un soggetto musicale collettivo. Questo aspetto rappresenta in piccolo un messaggio politico-culturale in vitro, una fuga dall’individualismo verso lo spirito di collaborazione, l’ascolto reciproco, la creazione di una comunità.
Al viaggio di Dissonanzen danno il loro contributo come ideatori ed esecutori di progetti i musicisti Marco Cappelli, Daniele Colombo, Raffaele di Donna, Francesco D’Errico, Ciro Longobardi, Tommaso Rossi, Marco Sannini, Marco Vitali, l’attore Enzo Salomone e la danzatrice Alessandra Petitti. Doveroso è menzionare l’apporto importantissimo di Claudio Lugo (direttore artistico dell’associazione dal 2000 al 2006).



Il rapporto di Dissonanzen con l’improvvisazione nasce nell’estate del 2001. L’Arci Movie di Ponticelli ci ha proposto di sonorizzare 3 film sperimentali di Man Ray per la sua programmazione estiva all’aperto. Abbiamo un organico assai eterogeneo per il quale è molto difficile trovare repertorio scritto: sassofono (Claudio Lugo), pianoforte (Ciro Longobardi), chitarra (Marco Cappelli), flauti (Tommaso Rossi). Con l’aggiunta di qualche effetto elettronico, usato da Lugo e Cappelli, pensiamo di utilizzare le partiture pianistiche di Erik Satie come spunto per l’improvvisazione. Negli anni precedenti, l’esecuzione di alcune partiture informali (Bussotti, Maderna, Pennisi) ci aveva già messo in contatto con l’idea dell’alea e del suonare fuori dalla tradizionale verticalità della partitura. Nel caso dei film di Man Ray, oltre alle partiture di Satie, c’è da seguire il dettato filmico. Ho ritrovato le note che scrivemmo in occasione della prima esecuzione: «Le musiche d’accompagnamento alla proiezione sono concepite come improvvisazioni condotte secondo uno studio sulla “reazione” alle immagini attraverso la tecnica della libera associazione di idee, che riflette, se non in senso storico, in senso più strettamente programmatico uno dei punti cardine dell’ estetica Dada e surrealista. Tali improvvisazioni partono sempre da un’ossatura centrale, che percorre l’intera performance, per la quale abbiamo scelto la musica di Erik Satie, in particolare le sue pagine pianistiche, recuperando così il “suono” della sala di proiezione dell’epoca, che prevedeva, nella maggior parte dei casi, la presenza del solo pianoforte. Dato il testo originale pianistico, si procederà alla progressiva “polverizzazione” della materia musicale (incisi melodici, elementi accordali, micro-strutture ritmiche), sviluppando in campo informale e improvvisatorio, ed estendendo a tutti gli strumenti del gruppo (ivi compresa l’elaborazione elettronica), gli elementi provenienti dalle pagine di Satie.
Il gioco si manifesta, quindi, anche come continuo “slittamento” tra sincronia e a-sincronia cronologica con il dettato filmico; rimandi al “profumo” epocale e scarti verso una più spregiudicata chiave di lettura musicale».
L’Arena di Ponticelli è un grande spazio all’aperto, dove l’Arci Movie organizzava (e credo ancora organizzi) una rassegna di cinema. Era un messaggio coraggioso portare Man Ray nella periferia napoletana, per di più con una colonna sonora dal vivo e sperimentale; ciò avveniva in anni in cui il contesto culturale e sociale ancora consentiva agli organizzatori di assumersi dei rischi per questo genere di iniziative. Oggi, probabilmente, tutto ciò non sarebbe possibile.
Abbiamo lavorato molto per provare le sincronie musicali. Il terrazzo della casa di Marco Cappelli ci ha accolti durante le pause, una splendida vista dall’alto sulla città, un volo in picchiata che dai Quartieri Spagnoli porta dritti a mare. Di fronte a noi la mole della Galleria Umberto I sembra un’astronave art déco. Erano anche giorni difficili, quelli. In pieno svolgimento il G8 di Genova lasciò la sua ombra tragica su quelle giornate che non dimenticheremo mai.
Sono molto legato a questo progetto che è stato uno dei più fortunati di Dissonanzen, proposto più volte dopo quell’occasione al Ravello Festival, a Cagliari per Signal Festival, a Bari per Time Zones, presso gli Amici della Musica di Modena, e in molti altri luoghi. Oltre alla bellezza delle musiche di Satie su cui è facile e stimolante poter improvvisare, devo dire che la suggestione delle immagini di Man Ray produce uno straordinario effetto creativo e scava profonde emozioni dentro di noi.

Adam Rudolph è un musicista dallo straordinario carisma. Fare musica con lui significa entrare in un’altra dimensione. Il suo progetto Go: Organic Orchestra è una delle esperienze più entusiasmanti che mi sia capitato di conoscere nella mia vita di musicista. Adam ha creato un sistema di gesti per dirigere un’orchestra, lavorando su una serie di griglie melodiche e armoniche, e su un sistema di patterns ritmici. Rudolph guida l’orchestra in una sorta di composizione istantanea. La musica di Adam Rudolph è sempre diversa ma anche sempre riconoscibile perché il suo stile sta nell’uso degli intervalli e delle armonie che ha creato e che fa utilizzare in tempo reale all’orchestra, utilizzando il suo sistema di gesti; basta una giornata di lavoro per entrare in sintonia con il suo sistema. Per due volte (nel 2009 e nel 2012) Adam Rudolph è venuto a Napoli a lavorare e, in entrambe le occasioni, le prove e i concerti sono stati momenti di grande emozione. Abbiamo scelto di formare dei gruppi in cui fosse molto forte la componente giovanile (studenti di Conservatorio provenienti anche da ambiti molto differenti, dalla classica al jazz). Tutti sono rimasti incantati da questo modo di lavorare che mette alla prova la reattività del musicista ma anche la sua creatività, tanto la sua disciplina quanto la sua capacità di essere libero e creativo. Una sezione di archi suona un intenso pizzicato. Su questo ostinato un lento procedere di accordi dei fiati mentre il pianoforte è libero di improvvisare. Suoni tenuti, staccati, dinamiche e agogiche sono previste nel linguaggio di segni di Adam Rudolph. Spesso chiude gli occhi, ascoltando e pensando a quello che verrà dopo. Si lascia influenzare dall’ascolto e così crea la struttura della sua composizione.

Adesso ci troviamo sul palco della grande sala dell’Università di Salisburgo. Stiamo suonando al Festival di Salisburgo con Marc Ribot, chitarrista rock statunitense con cui presentiamo Scelsi Morning, un progetto in cui la musica di Giacinto Scelsi (per la precisione alcuni pezzi per strumento solista) si sposano con delle composizioni-improvvisazioni ispirate a Ribot dalla musica del compositore romano. Un progetto assai particolare, questo, anche perché Ribot non è un chitarrista classico: è un’icona del rock americano, avendo suonato con Tom Waits, Marianne Faithfull ed ha al suo attivo anche una sua carriera come leader di svariati gruppi. Abbiamo suonato con lui anche a New York, in un locale storico dell’avanguardia newyorkese, il Tonic, centro di diffusione del cosiddetto “stile downtown”, ovvero il gigantesco convergere delle infinite linee culturali che segnano lo scenario sonoro della Grande Mela in un unico sound sperimentale, che segna nel profondo i comportamenti musicali di un’intera classe di musicisti. Ribot scrive brevissimi appunti, segnali minimi che danno forma al pezzo dal punto di vista melodico. Il suo stile chitarristico non è caratterizzato dal virtuosismo, quanto piuttosto dalla ricerca sul suono, dall’intreccio di noise con argentee fasce sonore. Arrivammo a New York nel febbraio del 2006, durante un’intensa nevicata che bloccò la città per alcuni giorni. Suonammo anche presso l’Antology Film Archives, storica istituzione legata alla sperimentazione cinematografica e fondata da Jonas Mekas, sonorizzando un film italiano del 1915: Assunta Spina di Gustavo Serena, con Francesca Bertini. In questo progetto l’improvvisazione si lega anche all’utilizzo di testi di Salvatore di Giacomo, scelti e recitati dal vivo da Enzo Salomone.
In Assunta Spina c’è tanta Napoli. Una Napoli che non esiste più. Spiagge, strade, luoghi oggi completamente diversi. Un sapore fortemente nostalgico, sullo sfondo di una tragedia di gelosia, che incombe inesorabile. Un paradigma – quasi - della napoletanità, a cui ci accostiamo cercando di dare, per certi versi, una lettura quasi espressionista, ironica in altri momenti. Quando sonorizziamo Assunta Spina mi commuovo sempre un po’, soprattutto quando Enzo Salomone, poco prima della fine proferisce le seguenti parole:

Chiove... Tutto na vota
ll' aria s' è fatta scura...
'O tiempo se revota...
Che lampo!... Che paura!...

Assunta è stata arrestata auto-accusandosi, per salvare l’ex-fidanzato, di un delitto che non ha commesso. I musicisti tacciono. Il film si conclude nel silenzio. Abbiamo eseguito questa sonorizzazione, che si muove liberamente senza uno schema musicale pre-fissato e utilizza come riferimento fisso soltanto un’abbondante quantità di materiale testuale tratta dal dramma di Salvatore Di Giacomo (Assunta Spina) e dalla sua opera poetica nonché una serie di “reperti sonori” tratti da vecchie incisioni di canzone napoletane (in particolare Era ‘de Maggio, che è su testo di Di Giacomo) anche ad Annecy , in occasione dell’inaugurazione del Festival del Cinema Italiano. 
Tommaso Rossi