All’inaugurazione della nuova stagione concertistica dei Turchini Florio e l?orchestra della casa hanno dato gran prova di valentia esecutiva e coraggio culturale affrontando finalmente un gran programma barocco con i classici dell?epoca, cioè Vivaldi, Bach, Haendel e Telemann: già, anni fa il defunto presidente della “Scarlatti“, professore Cardarelli, auspicava un pronto ed efficace salto dalla .specializzazione dei Turchini quale orchestra limitata al barocco napoletano ad orchestra di piena collocazione europea per le musiche scelte. Dunque è venuto il concerto fulgente e coinvolgente (con la chiesa-auditorio stracolma, Santa Caterina da Siena ai Gradoni di Chiaia) peccato che il professore Cardarelli non ci sia più da anni, ma dal cielo (magari tenero e mondano come i cieli di Fischetti che sorridono sul pubblico dei ’’Turchini”) avrà certo mandato un pensiero ben augurante. All?inizio del concerto Florio ha lanciato la sua orchestra in un tesissimo impeto, con cui ci ha proposto una stupefacente esecuzione della ouverture dalla “suite“ in sol maggiore di Telemann: tutti con le orecchie e l?animo protesi in attesa di un momento in cui si placasse tale spinta. Come al decollo di un aereo: c’è voluto mezzo concerto perchè si trovasse un po’ di calma, di gusto per canto e fraseggio, un pò di sfizio nelle movenze di danza, negli incisi arguti. Ne ha fatto le spese quasi tutto il converto di Vivaldi proposto, che solo nel terzo ed ultimo movimento ha potuto respirare con il necessario slancio canoro festoso. E a seguire la benefica presenza di Tommaso Rossi e Marcello Gatti ha mantenuto l’indispensabile clima di letizia e festa musicale, nel concerto per flauto dolce e traversiere: i due artisti, con consapevolezza e divina follia, hanno ricordato a tutti che il fare musica è fatica ma non castigo, è comunicazione anche sofferta ma di gioia estetica: e la serata ha finalmente trovato una più giusta atmosfera. Sempre, fin qui e dopo, in Bach, nei concerti dall?op. 6 di Haendel la precisione, 1’affiatamento della formazione erano encomiabili, e facevano trasparire ( magari troppo) l?impegno nel fare bene e benissimo. Ottimi i solisti Ciccolini, Focardi, Ferri, Croce, Guerrero - ma la lode generale vede tutti coinvolti negli scroscianti applausi, poichè tutti hanno fatto la loro parte in un concerto che speriamo apra la via a nuova programmazione, dopo Purcell deve appunto venire ciò, anche se all’estero si insiste a chiedere ai Turchini la musica napoletana. La maggiore età di un gruppo barocco si misura invece proprio sui grandi standard della tradizione continentale codificata. Lo splendore sonoro sfolgorante che sembrava davvero avere aumentato la luminosità della chiesa auditorio, per esempio lo ricorderemo a lungo quale cifra stilistica del concerto, per la plastica evidenza del suono degli archi possente, muscoloso quasi, tale da ri-cordare la monumentalità barocca del colonnato del Bernini, di Versailles, della Salute di Venezia. Nell’insieme forse si è perso il cembalo, il continuo ed il Larghetto di Vivaldi ne ha ri-sentito in maniera significativa: cioè, in se-guito va curata la trasparenza, la leggerezza, che possa anche fare emergere certa vocazione canora di talune linee strumentali. Dopo il pathos costruttivista che ha dato gia in questa occasione mirabili esiti, da tutti condivisi, bisogna arrivare ai colori alla disinvoltura di fraseggio) con cui Florio e la sua orchestra intonano i napoletani. Certamente ci si arriverà presto continuando a proporre questo repertorio.