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Le mille declinazioni di Scelsi suonano a Dissonanzen .07

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  La settimana napoletana dedicata alla musica contemporanea è stata inaugurata dal chitarrista e compositore americano Mark Ribot, vera star del festival, che si è esibito insieme a l’Ensemble Dissonanzen e alla special guest Christine Bard Mario Gamba Napoli Sala Scarlatti (quella importante) del Conservatorio San Pietro a Majella. Posti esauriti. Per un concerto di musica contemporanea! Il fatto è che a Napoli l’Ensemble Dissonanzen che promuove e in buona parte interpreta questo Festival Dissonanzen.07 è una vera forza. Un’istituzione, quasi. Il successo della prima serata, mercoledì 21 febbraio, è però dovuto anche a un altro fattore: il protagonista è Marc Ribot, americano, chitarrista e compositore. Una star: uno che spazia dalle atmosfere rarefatte di Scelsi Morning (Tzadik, 2003) a quelle zorniane falso-illustrative di Soundtracks II (Tzadik, 2003) alle performances con Los Cubanos Postizos, Tom Waits, Elvis Costello, Marianne Faithfull. Il concerto d’apertura presenta insieme Ribot e l’Ensemble Dissonanzen al completo, anzi con una special guest che si chiama Christine Bard. Suona la batteria ed era già nel cast discografico di Scelsi Morning. Il concerto ha un titolo, Good Morning Scelsi, che ovviamente riprende quello del lavoro citato di Ribot. Ma l’idea è diversa e geniale: legare insieme come in una suite (quindi un’ora di musica senza interruzione) quattro brani originali di Giacinto Scelsi, tutti per strumento solista (sassofono, pianoforte, flauto, chitarra), e brani per il gruppo che sono «riedizioni» di parti del celebre cd scelsiano di Ribot con grandi arricchimenti e un bell’equilibrio tra scrittura e improvvisazione. Scelsi lirico e non solo ricercatore maniacale-ossessivo (creativissimo) dell’essenza del suono nel singolo suono: questa non è una novità. Ma Scelsi che flirta con il jazz dell’età di mezzo sorprende sempre. È quello dei Tre pezzi per sassofono (1956) di cui Claudio Lugo al contralto interpreta il n. 3. Eccelso nel riecheggiare, mettiamo, un solista delle orchestre di Flechter Henderson o di Duke Ellington. Scelsi sereno, gradevole, quasi di «facile ascolto». Come sarà, del resto, tutto il concerto. Bataille di Ribot ha un inizio circense. Un paio di «crescendo» della batteria sono tipo accompagnamento-lancio di trapezisti senza rete. Ma poi la batteria diventa un po’ alla Gene Krupa in Sing Sing Sing, grande opera di Benny Goodman, con giuste complicazioni free, poi si sentono chitarre etno e rock e avant-rock e si ha la prima prova dell’irrefrenabile eclettismo ribotiano. Delle Quattro illustrazioni (1953) di Scelsi il pianista Ciro Longobardi suona la quarta ed è acuto nel capire che l’autore merita raccoglimento, meditazione grave, non misticismo. Scelsi che dialoga con i classici, anche quelli del ’900. Senza un secondo di pausa parte Scelsi Morning: dovrebbe essere il piatto forte visto il titolo. Un flauto dolce basso, una tastiera elettronica (quella del sapientissimo Francesco D’Errico), un sax, un pianoforte, due chitarre, una batteria discreta. Entrano uno dopo l’altro, escono di scena, si ritrovano in un clima sognante accentuato dal ronzio dolce della tastiera. Piccoli suoni d’incanto, campanellini. Un brano bucolico in tempi di conflitti globali? Sì, ma questi tempi sprigionano anche affetti e desideri di affetti, aperture pensose ai sentimenti. Tommaso Rossi al flauto è grande, ma il Quays (1954) di Scelsi che gli tocca è strano: molto «carino», un po’ stucchevole. Pennies from Hell di Ribot comincia come vero jazz: batteria alla Philly Joe Jones. Prosegue con materiali giocati polifonicamente le cui ascendenze, come sempre in questo musicista, sono quasi indecifrabili: etnicità e esotismi che si frantumano in squarci rumoristici e modulano in una leggera psichedelia. Il tutto è una delizia. Fantastico lo Scelsi di Ko-Tha, tre danze di Shiva (1967) e fantastico il chitarrista napoletano-newyorchese Marco Cappelli che suona la n. 1. Il brano sarà pure orientaleggiante ma convince per via della ricchezza, durezza e concentrazione dei «battiti» irregolari che vi appaiono. Finale con due brani legati di Ribot+Ensemble. Geese ha un andamento danzante e melodie di sapore fusion. Earth è tellurico. Batteria con esplosioni in successione, chitarre strappate - e qui Ribot dà il meglio di sé -, pianoforte in tempesta con cluster e note ribattute, sax splendidamente e classicamente free di Lugo. Pubblico eccitato e appagato.